
C’è un motivo se in questi giorni l’Europa è bloccata dai trattori. Non è il meteo, non è il caro gasolio, non è nemmeno l’ennesima nostalgia per un mondo che non c’è più. Si chiama MERCOSUR, l’accordo commerciale che l’Unione Europea tenta di firmare da oltre vent’anni con il mercato comune sudamericano.
Sì, torno a parlare degli agricoltori. E sì, ancora una volta in termini poco lusinghieri. Non per antipatia di principio, ma per ostinazione dei fatti.
Un affare che conviene (quasi) a tutti
Sulla carta, il MERCOSUR è uno di quegli accordi che farebbero brillare gli occhi a qualunque economista non in cattiva fede. Aprirebbe alle imprese europee un mercato da circa 280 milioni di persone: automobili, macchinari industriali, chimica avanzata, vino, prodotti trasformati. Non solo: l’intesa prevede la tutela di molte indicazioni geografiche europee, dal Parmigiano Reggiano al Culatello, un dettaglio che chi parla di “svendita delle eccellenze” tende a dimenticare con sorprendente costanza.
In cambio, l’Europa avrebbe accesso più agevole a materie prime e prodotti agricoli a costi inferiori. Ed eccoci al punto dolente. Perché se c’è una parola che riesce ancora a scatenare reazioni epidermiche nel Vecchio Continente, quella parola è concorrenza. In particolare quando arriva da paesi dove il costo del lavoro è più basso e gli standard produttivi sono diversi dai nostri.
La carne sudamericana — bovina soprattutto — è diventata il simbolo di questa paura: costa meno, arriva da sistemi produttivi percepiti come “meno regolati”, e quindi viene vista come una minaccia esistenziale. Non come un elemento di mercato, ma come un’invasione.
Quando il 2% detta la linea al 98%
Le proteste degli agricoltori hanno trovato orecchie particolarmente attente in Italia e Francia. Risultato: firma dell’accordo rinviata, processi decisionali congelati, dichiarazioni prudenti a uso interno. Ancora una volta, un settore che vale circa il 2% dell’economia europea riesce a orientare la strategia commerciale dell’intero continente.
Non è una novità, purtroppo. È un copione già visto. Ricordate il CETA, l’accordo con il Canada? Era il 2017 e si parlava di apocalisse: invasioni di grano canadese, fine delle nostre filiere, distruzione del made in Italy. Poi l’accordo è entrato in vigore — seppur in forma parziale — e cosa è successo? Le esportazioni europee verso il Canada sono cresciute in modo significativo. Salumi, vino, formaggi inclusi. Il mondo non è finito. Anzi, qualcuno ha iniziato a vendere di più.
Eppure, ogni volta sembriamo affetti da amnesia selettiva. Ogni nuovo accordo viene trattato come se fosse il primo, come se l’esperienza non avesse mai insegnato nulla.
Il tema serio che non si vuole discutere
Sia chiaro: una preoccupazione legittima esiste, ed è quella legata agli standard sanitari e ambientali. Qui il dibattito dovrebbe essere serio, tecnico, rigoroso. Non urlato dai trattori in autostrada, ma affrontato nei tavoli negoziali. È giusto pretendere controlli, clausole di salvaguardia, verifiche stringenti. È su questo terreno che l’Europa dovrebbe far valere il proprio peso.
Ma osservando le proteste, il sospetto è che per molti il problema non sia davvero la sicurezza alimentare. Il problema è che qualcuno possa competere. Che il mercato smetta di essere un recinto protetto e torni a essere, appunto, un mercato.
Il solito copione europeo
La politica, come spesso accade, corre a pagare l’ennesimo pizzo a una corporazione organizzata, rumorosa, capace di paralizzare il paese e di raccontarsi come ultimo baluardo di un’identità minacciata. È una dinamica antica, quasi rituale. Si rinvia, si annacqua, si promettono compensazioni. E intanto il mondo va avanti.
Mentre l’Europa discute se aprire o no, Stati Uniti e Cina stringono accordi, consolidano filiere, occupano spazi. Noi restiamo fermi a difendere l’orticello, dimenticando che fuori c’è un giardino enorme — e qualcuno lo sta già coltivando.
Una nota finale per la memoria corta
Ricordatevelo, la prossima volta che qualcuno vi indicherà nel “neoliberismo” il grande male che attanaglia l’Italia e l’Europa. Non sono gli accordi commerciali a impoverirci. È la paura cronica di competere, la dipendenza dalle rendite di posizione, l’idea che il futuro debba sempre adattarsi al passato e mai il contrario.
Il problema non è il MERCOSUR. Il problema è un continente che continua a chiedere protezione invece di pretendere opportunità. E che poi si stupisce se resta indietro.
(Emma Nicheli)
Prompt:
intro: C'è un motivo se in questi giorni l'Europa è bloccata dai trattori. Si chiama MERCOSUR, l'accordo commerciale che l'UE vuole firmare da vent'anni con il mercato comune sudamericano. Sì, torno a parlare degli agricoltori. E di nuovo in termini poco lusinghieri.
parte 1: L'affare sembra ottimo: aprirebbe un mercato da 280 milioni di persone alle nostre eccellenze come auto, vino e macchinari, proteggendo per giunta i nostri prodotti tipici come Parmigiano e Culatello. In più, avremmo più facile accesso a materie prime a basso costo. Allora perché gli agricoltori europei sono in rivolta? Perché temono la concorrenza di prodotti come la carne sudamericana, che costa meno per via di standard diversi e del lavoro più a buon mercato.
parte 2: Le loro proteste hanno trovato orecchie sensibili in Italia e Francia, tanto da bloccare momentaneamente la firma dell'accordo. Sembra quindi che, ancora una volta, la paura di un settore che vale circa il 2% della nostra economia determini la politica commerciale di tutti. La storia però ci ha già dato una lezione. Ricordate il CETA, l'accordo con il Canada? Nel 2017 si dicevano le stesse cose catastrofiche, eppure le nostre esportazioni verso quel paese sono schizzate alle stelle, salumi e vino compresi.
parte 3: L'unica vera preoccupazione seria riguarda i diversi standard sanitari, un aspetto che forse è stato sottovalutato. Ma a giudicare dalle proteste, sembra che la paura più grande per molti non sia la sicurezza, ma semplicemente la parola "concorrenza".
parte 4: La politica corre, come sempre, a pagare l'ennesimo "pizzo" a una corporazione potente, che sa bene come paralizzare il paese e parlare al cuore della gente. E mentre si discute, il mondo fuori dall'orticello europeo va avanti.
parte 5: ricordatevelo, quando qualcuno vi indicherà nel "neoliberismo" il grande male che attanaglia l'Italia. articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisco dove necessario.
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