
È scattata di nuovo, puntuale come un riflesso condizionato, la difesa pavloviana. Basta che un’inchiesta lambisca un nome percepito come “nostro”, vicino alla causa palestinese, e una parte della sinistra radicale smette di ragionare e inizia ad abbaiare. È successo con Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia. Non un minuto di silenzio, non una pausa di riflessione, non il rispetto dei tempi della giustizia. Subito la trincea, subito la mobilitazione identitaria. Non per difendere un principio universale, ma per proteggere un simbolo politico sentito sotto assedio.
E sia chiaro: qui non c’entra la sacrosanta presunzione d’innocenza. Quella vale per tutti, sempre, senza bandiere. Qui c’entra altro. C’entra la paura che cada un pezzo di narrazione, che si incrini un fronte ideologico costruito negli anni a colpi di slogan, cortei e semplificazioni. È la spia di un’alleanza contro natura, mai davvero confessata ma praticata nei fatti: quella tra una certa sinistra occidentale, stanca, confusa, priva di bussola, e il radicalismo islamico. In nome dell’antisionismo si finisce per chiudere gli occhi su ciò che, in qualunque altro contesto, verrebbe giustamente denunciato come reazionario, violento, incompatibile con i valori di emancipazione e libertà.
Io nella presunzione d’innocenza credo davvero. Non per opportunismo, ma per cultura giuridica e per etica civile. Gli indagati sono innocenti fino a sentenza definitiva, punto. Ma proprio perché non sono un tifoso, non posso far finta di nulla davanti alla gravità delle accuse: aver raccolto fondi presentati come “umanitari” e averne dirottati oltre sette milioni di euro ad Hamas, anche dopo le stragi del 7 ottobre. Accuse che, se confermate, non lasciano spazio a zone grigie. Hannoun, del resto, non era un signor Nessuno: posizioni estremiste, negazionismo su quei massacri, frequentazioni documentate con esponenti di Hamas. Che il mondo ProPal italiano abbia ospitato, coccolato e legittimato figure simili non dovrebbe stupire, purtroppo. È il frutto avvelenato di anni di rimozioni morali. E no, tutto questo non assolve Israele dalle sue responsabilità enormi e tragiche nella devastazione di Gaza. Tenere insieme le due cose è difficile, ma è l’unico esercizio intellettualmente onesto.
Nel frattempo, la politica italiana fa quello che le riesce meglio: la butta in caciara. A destra, Meloni, Bignami, Salvini esultano come se avessero segnato al novantesimo. Condannano senza appello, chiedono scuse, si ergono a paladini della legalità con lo stesso zelo con cui ieri strizzavano l’occhio a ben altre ambiguità internazionali. Dall’altra parte, a sinistra e nel Movimento 5 Stelle, cala un rossore imbarazzato. Fratoianni, Di Stefano, Bonelli, Boldrini: premi, conferenze, incontri, strette di mano. Tutto documentato. Ora invocano prudenza, chiedono di “non strumentalizzare”. Gli stessi che per anni hanno costruito carriere politiche sulle “frequentazioni discutibili” degli avversari. Il problema non è l’ipocrisia, che ormai è la cifra stabile del ceto politico. Il problema è l’assenza di autocritica.
Difendere i diritti del popolo palestinese è giusto. È necessario. È doveroso, soprattutto davanti a una tragedia umanitaria che grida vendetta. Ma trasformare quella difesa in un lasciapassare morale per il fondamentalismo, no. Non è solidarietà, è complicità. E una sinistra che, pur di sentirsi dalla “parte giusta della storia”, si allea con chi nega la libertà delle donne, perseguita le minoranze, sacralizza la violenza e disprezza la democrazia, smette di essere sinistra. Diventa una caricatura di sé stessa, una parodia moralistica priva di radici illuministe.
Questa è l’amara fotografia del paese: memoria corta, schieramenti isterici, una politica che preferisce lo scontro simbolico alla fatica della complessità. Da una parte e dall’altra. E in mezzo, come sempre, i principi sacrificati sull’altare dell’appartenenza. Io continuo a pensare che la sinistra, quella vera, abbia il dovere di essere più esigente di chiunque altro. Con i nemici, certo. Ma soprattutto con sé stessa.
(Roberto De Santis)
Prompt:
intro: È scattata di nuovo la difesa pavloviana. Quando l’inchiesta ha toccato un nome vicino alla causa palestinese – Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia – una parte della sinistra radicale si è subito schierata, ancor prima che i magistrati facciano il loro corso.
parte 1: Non in nome della sacrosanta presunzione d’innocenza, ma per tutelare un’identità politica percepita sotto attacco. È la spia di un’alleanza contro natura: quella tra certa sinistra occidentale e il radicalismo islamico. In nome dell’antisionismo, si chiudono gli occhi su ciò che si condannerebbe in qualsiasi altro contesto.
parte 2: Credo fermamente nella presunzione d’innocenza. Gli indagati sono innocenti fino a sentenza definitiva. Detto ciò, le accuse sono pesantissime: aver raccolto fondi “umanitari” per dirottare oltre 7 milioni di euro ad Hamas, anche dopo le stragi del 7 ottobre. Hannoun era già noto per posizioni estreme, negazionismo su quegli stessi fatti e frequentazioni con esponenti di Hamas. Che il movimento ProPal includa personaggi del genere non stupisce, purtroppo. Ma questo non assolve Israele dalle sue colpe nella tragedia di Gaza.
parte 3: La politica italiana non perde occasione per "farla fuori dal vaso". A destra (Meloni, Bignami, Salvini) già esultano e condannano senza se e senza ma, chiedendo scuse alla sinistra. A sinistra e nel M5S (Fratoianni, Di Stefano, Bonelli, Boldrini) che in passato hanno avuto rapporti con Hannoun (premi, conferenze, incontri), ora arrossiscono. Invocano prudenza e “nessuna strumentalizzazione”, dopo anni in cui sono stati loro a lanciare strali per le “frequentazioni discutibili” altrui.
parte 4: Difendere i diritti dei palestinesi è giusto e necessario. Trasformare quella difesa in un lasciapassare per il fondamentalismo, no. E una sinistra che, pur di sentirsi dalla “parte giusta della storia”, si allea con chi nega i valori che dice di difendere, smette di essere sinistra.
parte 5: Questa è l’amara fotografia: un paese con la memoria corta e una politica che, da entrambe le parti, spesso preferisce l’ipocrisia e lo scontro alla sostanza.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisco dove ritengo necessario.
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