
È uscito il trailer del nuovo film di Christopher Nolan, L’Odissea, e puntuale come l’IMU è arrivata la polemica. Questa volta non sulla fotografia, non sulla colonna sonora, non sulla riscrittura narrativa – che sarebbe almeno interessante – ma sugli elmi, sulle armature, sui dettagli “storicamente inaccurati”. Una roba da archeologi da divano e filologi da commento Facebook. Francamente, poco stimolante.
Molto più rivelatori, invece, sono certi commentini saccenti che tornano a circolare come un riflesso condizionato: “Ma dai, l’Odissea è fantasy”, “come la Bibbia, sono tutte favole”. Battutine pronunciate con quel tono da superiorità razionale che dovrebbe mettere chi le dice al riparo da ogni sospetto di ingenuità. Peccato che dicano molto più di noi, oggi, che di quei testi. E non cose lusinghiere.
Il fantasy, quello vero, è un genere modernissimo. Nasce quando la secolarizzazione è già compiuta, quando il mondo è stato “spiegato” dalla scienza e la magia è stata espulsa dal reale. Tolkien, Martin, Rowling scrivono mondi consapevolmente fittizi. Chi scrive e chi legge sanno perfettamente che draghi, elfi e incantesimi non esistono. È un patto narrativo chiarissimo: facciamo finta che. Il fantasy è evasione colta, costruzione di universi alternativi proprio perché questo mondo è ormai disincantato.
L’epica antica è l’esatto contrario. Omero non scriveva “fantasy”. Gli dèi che intervengono nell’Iliade e nell’Odissea non sono personaggi pittoreschi: sono il modo in cui una civiltà spiegava il destino, la guerra, la fortuna, la sconfitta, l’ira e la pietà. Atena non è un effetto speciale, è una categoria del reale. Poseidone non è un boss finale, è il mare, l’imprevedibilità, la vendetta cosmica. Non è cronaca, certo. Ma non è nemmeno finzione nel senso moderno. È una forma di conoscenza simbolica, condivisa, socialmente reale.
Lo stesso discorso vale – e qui molti iniziano a sudare – per la Bibbia. Non è un romanzo, né un manuale di scienze naturali, né un libro di fantasy mediorientale. È un testo stratificato, composito, che mette insieme mito, legge, genealogia, poesia, profezia, memoria storica. Dentro c’è la domanda sul male, sulla sofferenza, sul senso dell’obbedienza e della ribellione, sulla giustizia e sull’attesa. Liquidarlo come “favola” non è spirito critico: è pigrizia intellettuale. È come dire che Platone “scriveva dialoghi inventati” e sentirsi furbi per questo.
Il punto, infatti, non è mai stato credere o non credere. Il punto è capire che le civiltà antiche non separavano mito, religione e conoscenza come facciamo noi. Non perché fossero più stupide, ma perché avevano un’altra idea di verità. Una verità che non si misurava solo con l’esperimento replicabile, ma con il senso, il simbolo, l’esperienza condivisa. Giudicarle con le nostre categorie non è razionalità: è anacronismo. È come rimproverare a un navigatore fenicio di non usare il GPS.
E qui arriva il paradosso finale. Chi liquida Omero e la Bibbia come “favole” spesso crede di essere più razionale, più moderno, più vaccinato contro le illusioni. In realtà mostra meno spirito critico di chi prova a leggerli nel loro contesto. Perché comprendere non significa aderire, né inginocchiarsi, né sospendere il giudizio. Significa riconoscere che la nostra idea di razionalità è una costruzione storica, non il metro eterno dell’universo.
Forse è questo che dà fastidio: l’idea che il mondo non sia sempre stato come lo vediamo noi. Che esistano altri modi, altre mappe, altre profondità. Nolan, con buona pace degli elmi sbagliati, questo lo ha capito. Alcuni commentatori molto meno. E non è un problema di cinema. È un problema di alfabetizzazione culturale.
(Francesco Cozzolino)
Prompt:
Intro: è uscito il trailer del nuovo film di Christopher Nolan, "L'Odissea", e giù polemiche - sulle armature e gli elmi, pare. La cosa mi pare, francamente, poco interessante. Piuttosto, vedo ritornare in giro certi commentini saccenti, quelli per cui l'epica greca e perché no, pure la Bibbia, sarebbero "fantasy", come se fosse una battuta che mette qualcuno al sicuro in una presunta superiorità razionale. Ma questa semplificazione dice forse più di noi che di quei testi.
parte 1: Il fantasy è un genere moderno, consapevolmente fittizio: chi scrive e chi legge sanno che draghi, elfi e mondi magici sono invenzione. Un patto narrativo chiaro. L’epica antica era tutt’altro. Omero non scriveva “fantasy”: i suoi dèi non erano personaggi di intrattenimento, ma parte di una visione condivisa del mondo, del destino, dell’umano. Non erano cronaca, ma non erano neppure finzione nel senso moderno.
parte 2: Lo stesso vale per la Bibbia: non è un romanzo, ma un testo stratificato, che unisce mito, legge, poesia, profezia. Riflette il modo in cui intere comunità vedevano il divino, la storia, il dolore, il senso della vita.
parte 3: Il punto non è “credere o non credere”. È capire che le civiltà antiche non separavano mito, religione e conoscenza come facciamo oggi. Giudicarli con le nostre categorie non è razionalità: è anacronismo.
parte 4: Paradossalmente, chi liquida questi testi come “favole” spesso mostra meno spirito critico di chi cerca di leggerli nel loro contesto. Perché comprendere non significa condividere, ma riconoscere che la nostra idea di razionalità è solo una delle tante che l’umanità ha creato.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.
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