
Se c’è un campo in cui mi sento a casa, è quello della ristrutturazione aziendale. Negli anni, ho lavorato con aziende in Europa, negli Stati Uniti, in Corea del Sud, in Nuova Zelanda e in Argentina, aiutandole a risollevarsi da crisi finanziarie, riorganizzare le loro operazioni e riposizionarsi sul mercato. È un lavoro che richiede competenze tecniche, visione strategica e, soprattutto, la capacità di operare con precisione chirurgica. Ho insegnato il tema anche a livello universitario: insomma, non sono l’ultima arrivata in materia.
Eppure, c’è un limite netto a ciò che la ristrutturazione aziendale può insegnare sulla gestione di uno Stato. Un’azienda ha un obiettivo chiaro: il profitto. Uno Stato, invece, ha funzioni molto più complesse, tra cui garantire servizi essenziali, mantenere la coesione sociale e gestire il potere con una legittimità che va ben oltre i semplici conti economici.
Ecco perché guardare alla seconda presidenza Trump attraverso la lente della ristrutturazione aziendale è, al tempo stesso, illuminante e inquietante.
Il ristrutturatore: metodo e rigore
Chi si occupa di ristrutturazioni aziendali sa che il processo segue alcune fasi chiave. Si comincia con un’analisi dettagliata della situazione finanziaria e operativa dell’azienda per individuare le aree critiche e le cause profonde della crisi. Poi si elabora un piano strategico che può includere il ridimensionamento delle spese, la riorganizzazione delle strutture e dei ruoli, e la rinegoziazione dei debiti. Si passa quindi all’implementazione: tagli dove necessario, miglioramento dell’efficienza, revisione degli investimenti. E, infine, si monitora l’andamento delle misure adottate, correggendo la rotta se necessario.
Se ben fatta, una ristrutturazione aziendale non è solo un’operazione di taglio dei costi: è una trasformazione strategica che punta a rendere l’organizzazione più resiliente e competitiva nel lungo termine.
Ma quello che sta succedendo oggi negli Stati Uniti è qualcosa di molto diverso.
Ristrutturare uno Stato: un’altra cosa
Si può avere tutta l’esperienza del mondo nel settore privato, ma quando si parla di riformare uno Stato, il gioco cambia completamente. Certo, ci sono momenti in cui governi e istituzioni chiamano esperti esterni per consulenze su particolari aspetti della gestione pubblica – e io stessa ho avuto modo di farlo in passato, anche durante la crisi dell’eurozona.
Osservando cosa stanno facendo Trump e il suo team negli Stati Uniti, il primo pensiero che viene in mente è che – per citare Giacomo Poretti – questi sono presi dalla strada.
La palla da demolizione
Razionalizzare la spesa pubblica e riformare la burocrazia statale è, in sé, un’idea positiva. In un paese come l’Italia, ad esempio, una gestione più efficiente delle risorse sarebbe una necessità impellente. Ma una cosa è affrontare il problema con la precisione di un’equipe chirurgica, un’altra è lanciarsi come una palla da demolizione su tutto ciò che si trova davanti.
L’amministrazione Trump sembra aver scelto la seconda strada.
Tagli a destra e a manca, senza una visione strategica che vada oltre il semplice desiderio di ridurre il perimetro dello Stato. I settori colpiti sono molteplici:
- Istruzione: pesanti riduzioni ai finanziamenti per scuole pubbliche e programmi di sostegno, con l’idea che l’educazione debba essere una questione di mercato e non un diritto garantito.
- Previdenza sociale: pressioni per ridimensionare programmi come Medicare e Social Security, nonostante il loro ruolo fondamentale per milioni di americani.
- Sicurezza nazionale: riorganizzazioni e tagli ai budget di alcune agenzie, mentre altre vengono potenziate per ragioni politiche più che funzionali.
- Media pubblici: eliminazione di finanziamenti per la PBS e NPR, colpevoli di non essere abbastanza “allineati”.
- Regolamentazione ambientale e finanziaria: rimozione di norme di protezione ambientale e di vigilanza sul settore finanziario, con il pretesto di “liberare l’economia”.
- Difesa e alleanze: un approccio transazionale, in cui gli alleati devono “pagare” per la protezione americana, pena il ritiro del supporto.
L’idea di fondo sembra essere che il governo federale debba comportarsi come un erogatore di servizi a pagamento. Vuoi la nostra difesa? Paga. Vuoi i servizi pubblici? Pagateli da solo. Vuoi una regolamentazione che protegga i cittadini? Troppo costoso.
L’illusione della crescita economica
Mentre lo Stato viene smantellato, la politica economica di Trump si basa su due pilastri: protezionismo commerciale e tagli fiscali.
I dazi doganali, anziché rilanciare l’industria americana, deprimono l’economia aumentando i costi per le imprese e scatenando ritorsioni da parte dei partner commerciali. Nel frattempo, la politica fiscale è una riedizione della Reaganomics, con massicci tagli alle tasse destinati a “stimolare la crescita” e incentivare gli investimenti privati.
Ma il problema è che questi tagli sono resi possibili proprio dallo smantellamento dello Stato. La strategia è chiara: ridurre il peso del governo federale al minimo e lasciare che sia il mercato a governare tutto. Il risultato? Un’economia sbilanciata a favore delle grandi imprese e delle fasce più ricche della popolazione, mentre i lavoratori comuni si trovano sempre più esposti ai rischi di un mercato senza rete di protezione.
Un vuoto pericoloso
Trump non sembra avere altri grandi obiettivi oltre a ridurre il governo federale e demandare il più possibile ai singoli stati. Il risultato è una frammentazione crescente:
- Gli stati a guida MAGA si trasformano in laboratori di deregolamentazione selvaggia, smantellamento dei diritti civili e sperimentazioni economiche discutibili.
- Gli stati democratici o repubblicani moderati tentano di resistere, creando un mosaico di leggi e regolamenti che rendono l’America un paese sempre più diviso.
Nel frattempo, la promessa di “drain the swamp” – prosciugare la palude della burocrazia corrotta – si traduce nella sua sostituzione con una palude ancora peggiore: un esercito di sicofanti e incompetenti che occupano le posizioni di comando. E negli spazi lasciati vuoti dallo smantellamento statale, si muovono forze ancora più pericolose: oligarchie economiche, gruppi estremisti, e potenze straniere pronte a sfruttare il caos.
Ristrutturazione o distruzione?
Quella che stiamo vedendo negli Stati Uniti non è una ristrutturazione, ma una demolizione. E come in ogni demolizione mal gestita, il rischio è che si finisca sotto le macerie.
Rimane da vedere se e come si potrà ricostruire, una volta che la polvere si sarà posata.
(Emma Nicheli)
Prompt:
Intro: la ristrutturazione aziendale è uno dei campi in cui sei specializzata; come consulente, hai lavorato per molte aziende in Europa, negli Stati Uniti, in Corea del Sud, in Nuova Zelanda e in Argentina. E' un argomento su cui hai tenuto corsi universitari. Non sei proprio l'ultima arrivata, sul tema.
parte 1: il ristrutturatore Analizza la situazione aziendale per identificare le aree critiche e le cause dei problemi finanziari o operativi, elabora un piano di ristrutturazione che può includere la revisione della strategia aziendale, la riorganizzazione delle strutture e dei ruoli, e la gestione degli investimenti. Implementa le modifiche necessarie, che possono riguardare la riduzione dei costi, il miglioramento dell'efficienza operativa, e la rinegoziazione dei debiti con i creditori. Inoltre, assiste l'azienda nel rispetto delle normative vigenti, specialmente in caso di procedure concorsuali come il concordato preventivo, e monitora l'andamento delle misure adottate, apportando eventuali aggiustamenti per garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
parte 2: si può avere tutta l'esperienza del mondo nella ristrutturazione aziendale, ma in ogni caso si lavora sempre nel privato, al limite in partecipate. Altra cosa quando si affronta lo stato, che rispetto ad un'azienda è un'altra cosa, proprio come scopi e funzioni. Si può fare i consulenti per uno stato in particolare momenti, e tu stessa l'hai fatto più volte, anche nella crisi dell'eurozona, ma questa è - una consulenza, magari per certi aspetti particolari. Osservare ciò che stanno facendo negli Stati Uniti Trump e i suoi rende evidente subito una cosa: per citare Giacomo Poretti, questi sono presi dalla strada.
parte 3: razionalizzare la spesa pubblica e il mastodonte statale è di per sé una cosa positiva, soprattutto in Italia, paese che ne avrebbe un gran bisogno. In ogni caso, si dovrebbe procedere con l'attenzione di un'equipe chirurgica. Il governo Trump procede spedito come una palla da demolizione, tagliando a destra e a manca in qualsiasi dipartimento o ente - istruzione, previdenza sociale, sicurezza nazionale, media pubblici, agenzie di regolamentazione, difesa, alleanze decennali, niente sembra immune. La postura sembra diventare quella dell'erogatore di servizi: vuoi la nostra difesa? Paga.
parte 4: nel frattempo, la demente politica dei dazi deprimerà l'economia; il suo piano tasse è una riedizione della Reaganomics, una serie di tagli fiscali mirati a stimolare la crescita economica e incentivare gli investimenti. Questi tagli sono resi possibili proprio grazie allo sventramento statale in corso. Una riforma tutta pro-business, massimizzando la deregolamentazione e minimizzando la tassazione. Inutile dire che per la popolazione comune non finirà bene.
parte 5: naturalmente c'è dell'altro: Trump non ha particolari altri interessi oltre a sfoltire il più possibile il governo federale e demandare il più possibile ai singoli stati, ciascuno dei quali cerca di mettere in piedi il proprio inferno sulla terra preferito (se MAGA) o di resistere (se democratico o repubblicano vecchio stile). "Drain the swamp!", sostituendo la swamp con una swamp ancora peggiore fatta di sicofanti e incapaci. E negli spazi lasciati aperti, camminano belve pericolose. Non sarà facile.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove necessario.
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