Come abbiamo trasformato la disinformazione in intrattenimento

Da noi, ormai, sostenere scemenze colossali è una forma d’arte. E più sono grosse, più ti applaudono. Il meccanismo è perfetto: basta che la bugia coincida con i talking point del Cremlino o con le pulsioni dell’estrema destra, e sei pronto per il prime time. In un Paese dove la memoria è corta e la televisione lunga, l’idiozia certificata fa audience — e diventa carriera.

È la regola d’oro dell’Italia contemporanea: se dici la verità, sei un guastafeste; se racconti balle con tono professorale, ti chiamano “voce fuori dal coro”. E se poi ci metti pure un tocco di complottismo, sei candidato a un contratto con Mediaset o a un tour nei convegni dei “liberi pensatori”.

I santoni col titolo di studio

Vi ricordate il metodo Stamina? Una delle più grandi bufale scientifiche mai passate su reti pubbliche, promossa con lacrime, musiche d’archi e testimonial disperati. Una manipolazione emotiva travestita da “inchiesta”, firmata da chi doveva fare informazione e invece ha fatto proselitismo per un truffatore. Eppure il pubblico ci ha creduto — perché a raccontarla c’era un programma che “fa domande scomode”, come Le Iene, il laboratorio più influente di diseducazione del Paese. Da quel momento, il giornalismo ha capito che non serviva più la verità: bastava lo share.

Oggi la stessa formula viene riciclata con la guerra in Ucraina. Accademici in cerca di visibilità spacciano la geopolitica del Cremlino per “analisi equilibrata”. Ci sono professori che un giorno insegnavano economia e il giorno dopo spiegano strategia militare, storia sovietica e pure la bioetica dei vaccini — il tutto con la stessa scioltezza di un influencer che passa dal fitness alla teoria del complotto. Ma basta la parola “professore” in sovrimpressione perché il pubblico sospenda il cervello.

La perfetta convergenza tra propaganda, TV e vanità

Non parliamo di “utili idioti”: parliamo di complicità strutturale. La propaganda russa lavora sul lungo periodo, finanziando canali, reti di influencer e “esperti indipendenti” che indipendenti non sono. Ma il terreno fertile lo trova da noi: una televisione che ha sostituito il giornalismo con l’infotainment, un pubblico narcotizzato dal chiacchiericcio e un esercito di docenti pronti a scambiare la reputazione per cinque minuti di ribalta.

È la guerra ibrida perfetta: Mosca fornisce la narrazione, le nostre emittenti la confezionano in un servizio patinato e i talk show la lanciano come “punto di vista alternativo”. In nome del pluralismo, si dà lo stesso spazio a un analista che cita fonti verificate e a un tizio che sostiene che la NATO sia un cartello criminale. Così si uccide la verità: non censurandola, ma annegandola nel rumore.

E intanto gli “esperti” diventano personaggi: partecipano a rassegne, si candidano, pubblicano libri. Una catena di montaggio della notorietà basata sull’ambiguità morale.

“Le Iene” e l’era dell’informazione-spettacolo

Non è un caso se Le Iene sono diventate il modello informativo di un’intera generazione di autori televisivi. Quel tono da finto ribelle, la musica in sottofondo, il servizio costruito per farti piangere o indignare — ma mai pensare — hanno plasmato il pubblico perfetto per la propaganda moderna: emozionale, superficiale, convinto che l’approfondimento sia “noioso”.

Quel linguaggio ha sdoganato l’idea che ogni tesi, anche la più infondata, meriti un microfono. Ed è così che abbiamo visto crescere i no-vax, i negazionisti climatici, i difensori di Putin “perché anche l’Occidente ha fatto i suoi errori”, e i vari professori in cerca di redenzione televisiva. Non c’è bisogno di RT o Sputnik quando hai la prima serata di Rete 4 pronta a servirti la narrazione del giorno in salsa italiana.

Il caso Calenda–Sachs lo ha mostrato in modo brutale: un politico che cerca di smontare in diretta la propaganda di un accademico internazionale che, nel nome del “realismo”, finisce per fare da megafono al Cremlino. Una scena grottesca, ma utile: ci ha ricordato che la disinformazione oggi indossa il blazer, non la tuta mimetica.

Il prezzo dell’idiozia

Paghiamo tutto questo con interessi altissimi: la normalizzazione delle menzogne, la sfiducia nelle istituzioni, e un cinismo di massa che riduce ogni tragedia a un “mah, chissà dove sta la verità”. È il trionfo del disimpegno: l’idea che tutto sia manipolazione, quindi niente valga la pena di essere compreso.

Ma attenzione: quel cinismo non è innocuo. È la condizione perfetta per il controllo culturale. Quando non credi più a nulla, credi al primo che urla. E oggi a urlare sono i professionisti della manipolazione: politici, influencer, e — peggio di tutti — gli accademici riciclati in opinionisti a gettone.

La standing ovation per Calenda, per quanto discutibile nel merito, è servita almeno a questo: a segnalare che una parte del pubblico ha ancora voglia di dire “basta con le fesserie”. Una minoranza, certo. Ma le rivoluzioni mediatiche partono sempre dalle minoranze che si stancano di farsi prendere in giro.

In un Paese che trasforma in idolo chi nega l’evidenza, servirebbe una controcultura della verità. Non un ritorno ai toni paludati del passato, ma un giornalismo che sappia essere spettacolare senza essere stupido, popolare senza essere populista.
Non serve censurare le bufale: basta smettere di offrirgli un palco.

Finché continueremo a confondere “libertà d’opinione” con “libertà di dire idiozie impunite”, finché scambieremo la disinformazione per “pensiero critico”, e finché i talk show resteranno arene per gladiatori dell’ego, il Cremlino — e chiunque altro giochi la stessa partita — non avrà bisogno di spie. Gli basterà sintonizzarsi sulla nostra TV.

(Serena Russo)

Prompt:

Intro: torniamo un attimo sulla Russia, dopo l'articolo di ieri. Avete mai notato che, da noi, sostenere assurdità palesi è spesso un ottimo modo per diventare una celebrità? Basta che quelle falsità coincidano con i talking point del Cremlino e dell’estrema destra.

parte 1: Dai no-vax ai complottisti sull’Ucraina, tutti trovano spazio. E il ruolo di alcuni “professori” è cruciale: bastano pochissimi accademici senza scrupoli per inquinare il dibattito pubblico, facendo credere che la comunità scientifica sia divisa e legittimando le bufale con il loro titolo.

parte 2: Non sono solo i “utili idioti” di Putin. È una pericolosa convergenza di interessi: La guerra ibrida della Russia, Un sistema mediatico italiano debole e basato sull’infotainment (vi spiego questo concetto), L’ambizione di studiosi di dubbia integrità, Il pubblico, stanco e abituato a cercare intrattenimento, non informazione.

parte 3: Le Iene è diventato il modello dell'informazione italiana. I talk show, in nome del “equilibrio”, mettono sullo stesso piano verità e bugie. Il fact-checking è morto. Canali di propaganda come RT o Sputnik vengono citati come fonti attendibili. Il caso Calenda-Sachs ha smascherato per una sera questa crisi: un accademico di fama che diventa un megafono per la disinformazione di sistema. Il prezzo che paghiamo non è indifferente: La normalizzazione delle narrazioni del Cremlino, l'erosione della fiducia nelle istituzioni e un cinismo dilagante.

parte 4: La relativa standing ovation per Calenda (Calenda, poi, manco parlassimo di Marco Pannella o Luidi Einaudi!) è un segnale: c’è una minoranza che non ne può più di bugie così grossolane da essere un insulto all’intelligenza.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisco dove necessario.

Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico. Rendilo immersivo.

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Un commento

  1. Il fenomeno si estende anche ai canali sportivi.

    La telecronaca di Guido Meda e del suo pupillo Vanzini a, rispettivamente, le gare del motomondiale e di Formula 1, è una cosa sinceramente imbarazzante.

    Senza sembrare un nostalgico di Poltroneri o Mazzoni in Rai, basta seguire la telecronaca su Sky Sport inglese o sull’app, con Croft, Hodgson o (l’epilettico) Birt per capire la differenza.

    Anziché mantenere un minimo di distacco giornalistico, Vanzini urla come un hooligan uscito da Il Secondo Tragico Fantozzi, si inventa analisi oltremodo partigiane e conia appellativi da manicomio. È andato avanti per due anni a riferirsi LeClerc come “IL PREDESTINATOOOOO”, salvo che ormai Charles inizia ad essere brizzolato e il titolo mondiale non l’ha ancora portato in Ferrari (non che, forse, qualcun altro avrebbe fatto meglio senza prima nuclearizzare Maranello e ricostruire tutto da capo). Vedasi: “Quando la profezia non si avvera” di Leon Festinger et al.

    E Meda? Meda, è da sempre simbiotico all’entourage di Valentino Rossi. Valentino Rossi è sempre stato un grandissimo showman, e Meda è stato il suo hype man per oltre tre lustri.

    (Nota: proprio per questo Rossi non mi è mai stato simpatico, a me piacevano i piloti col baffetto, tipo Nigel Mansell e Max Biaggi.)

    Sia come sia, Meda, Rossi, Salucci e compagnia hanno ipotizzato un complotto per cui Marc Marquez dieci anni fa avrebbe deliberatamente danneggiato Rossi in gara; i tifosi italiani se la sono bevuta a canna, e a sentirli il complotto continuerebbe ancora oggi, con Ducati in combutta con la Federazione che saboterebbe deliberatamente il suo pilota più pagato (Bagnaia, protetto di Rossi) per favorire interessi anti-italiani e la Merkel e il NWO e se ci fosse ancora la Lira non succederebbe niente del genere perché CI SONO I FETIH NEI VACCINIH.

    È davvero facile addestrare una massa di italiani a credere in qualche stronzata, basta fare leva sull’innata buzzurritudine e sull’eterno complesso di inferiorità-superiorità, individuale e collettivo.

    In questo caso l’addestramento è stato così efficace che ad oggi, quando Marc Marquez (o, signoredio), suo fratello minore si spalma in curva 3 e si frattura una gamba i “tifosi” italiani fischiano sadicamente.

    Spero che al KGB non seguano lo sport.

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