
C’è sempre quel momento, nella copertura di una guerra, in cui ti accorgi che i fatti hanno raggiunto un tale livello di ovvietà che l’unica risposta possibile è l’ironia. La Russia che deporta civili ucraini? Breaking news: l’acqua è bagnata. Ma evidentemente una parte del dibattito pubblico, soprattutto dalle nostre parti, ha bisogno che glielo si dica con le figure, magari colorate e con i sottotitoli in maiuscolo, perché la realtà — quella vera — continua a sembrargli… opinabile.
Dal Donbass alla Siberia: biglietto di sola andata, senza consenso
Dai territori ucraini occupati, in particolare dal Donbass, arrivano segnalazioni sempre più numerose e dettagliate: famiglie intere prelevate, smistate, separate, trasferite. Donne, anziani, bambini: tutti caricati su convogli diretti a regioni remote della Federazione Russa.
E no, non sono “evacuazioni umanitarie”, come Mosca e i suoi megafoni occidentali cercano di dire con la stessa naturalezza con cui ti direbbero che la vodka non dà mai la nausea.
Parliamo di deportazioni sistematiche verso zone come la Siberia, dove, guarda caso, la popolazione crolla, le imprese mancano di manodopera e i governatori locali scrivono al Cremlino da anni lamentando la desertificazione umana. Il problema demografico? Facile. Prendi un altro Paese, invadilo, rastrella i civili e spediscili dove ti servono. Un gestionale coloniale da manuale.
Le finalità: ripopolare la Siberia e svuotare il Donbass della sua identità
Le analisi più serie – no, non quelle dei talk show italiani dove qualcuno ancora crede che Putin sia frainteso – convergono su due obiettivi.
Primo: usare gli ucraini deportati come forza lavoro forzata.
La Siberia non attira volontari, si vede. Nessuno vuole lasciare un appartamento a Mariupol o Kramatorsk per andare a spalare carbone a -40°C. Strano, eh?
Secondo: alterare il profilo etnico, culturale e linguistico del Donbass.
L’idea è semplice quanto brutale: porti via gli ucraini, li rimpiazzi con popolazione russa, cambi il tessuto sociale e poi racconti al mondo che “la gente del posto è filorussa”.
Certo. Come no.
Se sequestri diecimila persone e le metti in un’altra città, puoi anche dire che sono diventati fan dello Zenit San Pietroburgo: non vuol dire che sia vero.
L’ombra di Stalin, lunga come la storia non imparata
Il parallelo storico è così evidente che quasi ti senti stupida a dirlo.
Deportare intere popolazioni? La Russia l’ha già fatto — e più di una volta.
Stalin non solo ci andava a nozze: ci costruì un impero.
GULAG, trasferimenti di massa, punizioni collettive, annientamento identitario. I numeri sono da capogiro: milioni di ucraini, baltici, tatari di Crimea, ceceni, ingusci.
Ci sono intere mappe della Siberia che potresti disegnare seguendo la scia delle deportazioni sovietiche.
E oggi?
Il sistema non è più quello dei campi di lavoro del 1937. È più moderno, più burocratico, più piegato alla propaganda — ma la logica è la stessa: distruggi una nazione togliendole la sua gente.
Il silenzio occidentale, le nostre quinte colonne e il balletto del “sì, però…”
Mentre l’Ucraina resiste, ferita e ostinata come solo i popoli che hanno visto la morte troppo da vicino sanno essere, la comunità internazionale fatica a trovare la voce.
Cautela diplomatica, la chiamano.
Eufemismo elegante per dire: non vogliamo inimicarci troppo Mosca.
Ma la parte più avvilente è quella interna, domestica, nostrana.
Nel nostro bel Paese c’è chi riesce ancora a parlare di “provocazioni NATO”, di “espansione occidentale”, di “interessi geopolitici” come se stessimo discutendo di tariffe telefoniche.
Da un lato i professionisti della giustificazione permanente:
Travaglio, Orsini, Barbero, Di Battista, Salvini — ognuno col proprio stile, dal professorale all’improvvisato.
Dall’altro l’esercito degli utenti social col “ma…” caricato in canna, sempre pronto a relativizzare tutto.
I deportati?
“Eh, però pure l’Ucraina…”
La guerra d’invasione?
“Sì, ma la NATO…”
I bombardamenti sui civili?
“Ma Zelensky…”
Sembra quasi che, per certi ambienti, condannare apertamente un crimine sia diventato troppo impegnativo. Troppo netto. Troppo… occidentale?
La storia non perdona gli spettatori
Oggi gli ucraini deportati sono numeri su un report, righe in fondo a un comunicato internazionale, un trafiletto fra un’analisi di Orsini e l’ennesima intervista in cui qualcuno strizza l’occhio al “dialogo con Mosca”.
Domani saranno storia.
E quando la storia presenterà il conto — perché succede sempre — dovremo chiederci chi, davanti a un crimine di deportazione etnica, ha parlato chiaro e chi invece ha balbettato, girato la testa o fatto i distinguo.
Perché la verità è semplice: chi minimizza i deportati, prepara la strada ai prossimi.
E su questo, non c’è proprio niente da ridere.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: la Russia fa deportazioni forzate? Ma non mi dire!
parte 1: Dai territori ucraini occupati, in particolare dal Donbass, vengono segnalate deportazioni sistematiche di civili verso regioni remote della Federazione Russa, come la Siberia.
parte 2: Questa operazione, secondo diverse analisi, risponde a due precise finalità: La Siberia, afflitta da una crisi demografica ed economica, troverebbe in questa manodopera coatta un mezzo forzato per la "rinascita" delle sue aziende locali. L'obiettivo a lungo termine appare essere l'alterazione demografica e culturale del Donbass. Si tratta di un tentativo di cancellare l'identità ucraina di quelle regioni, che storicamente russe non sono.
parte 3: Il parallelo storico è inevitabile e agghiacciante. Questo metodo fu ampiamente utilizzato da Stalin, che attraverso il sistema dei GULAG deportò intere popolazioni, inclusi milioni di ucraini, per soffocare le identità nazionali e popolare le aree più inospitali dell'Impero Sovietico.
parte 4: Oggi, mentre l'Ucraina resiste all'invasione, è doveroso osservare con preoccupazione le esitazioni della comunità internazionale nel condannare con unanime fermezza questi atti e nel riconoscerne la portata. Figuriamoci le nostre quinte colonne russe, volontarie o meno, i Travaglio, gli Orsini, i Barbero, i Di Battista, i Salvini... e figuriamoci tante persone comune sempre con un nel "sì, però...", "ma...", "la NATO..." in canna.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisco dove necessario.
Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico. Rendilo immersivo.
Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Commento ampiamente slegato dal post, se non per il fatto che anche qui si richiama, come accade di frequente, al concetto evanescente di “occidentalità”.
Sarei curioso di leggere la recensione di un concerto di Anastacia, casomai la Redazione Culturale riuscisse a ottenere un accredito stampa.
Sì, Anastacia, quella dello spot Vodafone di millanta anni fa.
L’ho vista due volte (la prima su obbligo perentorio della mia signora, la seconda perché… la prima mi era piaciuta).
A parte che ha una backing band che tira come un’intera muta di husky, non riesco a fare a meno di pensare che il suo modo di stare sul palco, l’intero spettacolo — oltre che trasudare classe e quasi anacronistica galanteria nei confronti di pubblico e musicisti — è così occidentale.
Ma non saprei dire perché.
Forse la penna di Luigi Colzi potrebbe illuminarmi.
"Mi piace""Mi piace"