Atreju e la destra che vorrebbe diventare adulta (ma non sa se ne ha il coraggio)

Quest’edizione di Atreju dice qualcosa di preciso, e lo dice senza troppi giri di parole: non è più soltanto una festa identitaria, una liturgia militante fatta di cori, bandiere e nostalgia ben confezionata. È diventata un cantiere. Un luogo dove si prova – o almeno si simula – la costruzione di una politica e persino di una cultura. Questo cambio di passo non passa inosservato, soprattutto se si guarda a chi è salito su quel palco. Il ritorno di Gianfranco Fini, in particolare, non è un dettaglio folcloristico: è un segnale. Un segnale ambiguo, forse contraddittorio, ma impossibile da ignorare.
Fini è stato l’uomo che ha chiuso i conti con il fascismo storico e ha tentato di costruire una destra europea, conservatrice, costituzionale. Un tentativo fallito, certo, ma non irrilevante. E quando una figura così riappare, non lo fa mai per caso.

La sua presenza, insieme a quella di volti come Francesco Rutelli, va letta nel contesto attuale. Giorgia Meloni oggi è riconosciuta, piaccia o no, come una leader conservatrice a livello mondiale. Parla con Washington, tratta con Bruxelles, viene invitata ai consessi che contano. Il suo profilo internazionale è cresciuto molto più velocemente di quanto molti suoi avversari – e anche alcuni suoi sostenitori – avessero previsto.
E allora la domanda sorge spontanea: Fini è solo un ritorno nostalgico, una comparsata da album dei ricordi della destra post-missina? Oppure è il segnale di un tentativo più serio, più strutturato, di spostare Fratelli d’Italia verso un orizzonte più moderato, presentabile, diciamo pure “digeribile” a livello internazionale?
Il sospetto è che Meloni stia cercando interlocutori credibili, figure che possano certificare una svolta senza doverla dichiarare apertamente. Perché in Italia le svolte si fanno sempre così: senza dirlo, sperando che qualcuno se ne accorga.

Il problema è che questa operazione si muove in un campo minato. Da un lato c’è lo sforzo, evidente e in parte riuscito, di presentarsi come partner affidabile in Europa e con gli Stati Uniti. Dall’altro c’è una maggioranza che scricchiola, con una Lega spesso su posizioni opposte, soprattutto sul dossier ucraino, dove Salvini continua a oscillare tra ambiguità, strizzate d’occhio e vecchi riflessi sovranisti.
Ma c’è un nodo ancora più profondo, e più imbarazzante: lo scarto evidente tra lo spessore politico di Giorgia Meloni e quello di gran parte della sua classe dirigente. Lei è cresciuta, si è adattata, ha imparato il linguaggio del potere. Molti dei suoi restano fermi a una fase adolescenziale della politica, fatta di slogan, nemici immaginari e scarsissima esperienza amministrativa. È difficile costruire una destra “adulta” quando attorno hai ancora troppi che confondono il governo con un’assemblea studentesca permanente.

Qui sta il vero nodo politico. Meloni cerca di costruire un’immagine più moderata, ma non può – e forse non vuole – perdere i voti dello zoccolo duro che l’ha portata fin lì. Un elettorato identitario, spesso diffidente verso l’Europa, allergico alle mediazioni, che vive ogni apertura come un tradimento.
Il ritorno di un “padre nobile” come Fini può servire a dare una legittimazione simbolica a questo percorso. Una sorta di assicurazione culturale: guardate, non stiamo improvvisando, questa strada qualcuno l’ha già pensata. Ma i problemi reali restano tutti sul tavolo. La frizione strutturale con la Lega. La debolezza di una classe dirigente spesso inadeguata. La doppia anima di un elettorato che vuole insieme il governo responsabile e l’opposizione permanente.
Tenere insieme tutto questo non è politica, è equilibrismo. E prima o poi, si sa, si cade.

Quando la politica italiana perse Fini, perse anche un’occasione storica: quella di avere una destra alternativa, moderna, europea, capace forse di costringere anche la sinistra a smettere di vivere di rendita morale e a rinnovarsi davvero. Oggi quella stessa figura viene evocata come simbolo di una direzione possibile.
Ma tra il simbolo e la realtà c’è di mezzo un percorso lungo, accidentato, e pieno di contraddizioni. Atreju sembra essere il palcoscenico dove questa partita comincia a rendersi visibile, ma non è detto che sia anche il luogo dove verrà risolta.
Da osservatore disilluso, confesso di sperare ancora che da questo cantiere esca qualcosa di solido. Ma l’esperienza mi suggerisce prudenza. In Italia siamo bravissimi a evocare i fantasmi del passato per non affrontare davvero il futuro. E il rischio è che anche questa volta Fini serva più come icona rassicurante che come bussola politica.
Prima o poi, però, i nodi verranno al pettine. E allora non basteranno più i simboli. Serviranno scelte. Vere.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

Intro: Quest’edizione di Atreju dice qualcosa di preciso: non è più solo una festa, ma un vero cantiere dove si prova a fare politica e cultura. Un segnale che non passa inosservato, soprattutto se si guarda a chi è salito sul suo palco. Tra gli altri, è tornato Gianfranco Fini, una figura simbolo di una certa destra: colui che chiuse con il fascismo storico e provò a costruire una destra europea, conservatrice e costituzionale.

parte 1: La sua presenza, insieme a quella di altri volti come Rutelli, non è necessariamente un caso. Arriva in un momento in cui Giorgia Meloni viene riconosciuta come leader conservatrice a livello mondiale e il suo profilo sembra evolversi. La domanda quindi sorge spontanea: Fini è solo un ritorno nostalgico, o è il segno di un tentativo di spostare Fratelli d’Italia verso un orizzonte più moderato e internazionale? Un modo per cercare interlocutori credibili per questa possibile svolta.

parte 2: La sfida di Meloni, però, è piena di contraddizioni. Da un lato c’è lo sforzo di presentarsi come partner affidabile in Europa e con gli USA, dall’altro deve gestire la Lega in maggioranza, spesso su posizioni opposte, come sul sostegno all’Ucraina. C’è poi uno iato evidente tra lo spessore politico della leader e quello di gran parte della sua classe dirigente, ancora ancorata a posizioni più estreme e con poca esperienza amministrativa.

parte 3: Il vero nodo è questo: Meloni cerca di costruire un’immagine più moderata, ma non può e forse non vuole perdere i voti dello zoccolo duro che l’ha sostenuta fin dall’inizio. Il ritorno di un “padre nobile” come Fini potrebbe servire a dare legittimità a questo percorso. Ma i problemi reali – la frizione con la Lega, la qualità del suo gruppo dirigente, la doppia anima dell’elettorato – restano sul tavolo.

parte 4: Quando la politica italiana perse Fini, perse anche l’occasione per avere una destra alternativa e moderna che costringesse forse anche la sinistra a rinnovarsi. Oggi quella stessa figura viene forse evocata come simbolo di una direzione possibile. Ma tra il simbolo e la realtà c’è di mezzo un percorso ancora tutto in salita, dove prima o poi i nodi dovranno venire al pettine. La sensazione è che Atreju sia il palcoscenico dove questa complessa partita comincia a rendersi visibile.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Fai sentire i tuoi dubbi di chi cerca di farsi un'idea, spera di vedere qualcosa di positivo, ma è disilluso.

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